Buongiorno Professore
Buongiorno Professore,
Spero tutto bene!
È passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo scritti. Ricordo che stavo partendo per la mia prima esperienza di insegnamento.
Mi scuso quindi per questo lungo silenzio. Ci sono molte novità. So che le farebbe piacere sapere.
Quell’esperienza è stata una favola, nel vero senso della parola. Quarantacinque giorni trascorsi in una scuola media di lingua ladina, in mezzo alle montagne dell’Alto Adige, con ragazze e ragazzi che ogni mattina scendevano a valle dalle malghe o da qualche sperduta cima, qualcuno con gli sci, altri usando gli impianti a fune, come dovrei chiamarla?
Ho vissuto come in un racconto di Gianni Rodari, fatto di stima, coerenza, calore e accoglienza. Da professore matricola, ho compreso l’insegnamento come impegno sociale che proseguiva sempre e comunque fuori dalle aule, sui campi da sci come sui sentieri, di fronte a una cioccolata calda con un Krapfen o davanti a un piatto di Knödel.
Il ritorno alla realtà cittadina mi ha fatto poi desistere dal proseguire su quella strada, che speravo in cuor mio, potesse essere la mia vocazione.
Ho atteso troppo a lungo che arrivasse una chiamata per qualcosa di più di una supplenza. Invano.
Così un giorno ho colto l’attimo fuggente, l’opportunità di iniziare un percorso, in realtà divenuto un lungo viaggio, variopinto, vivace, intrigante e appassionante come mai mi sarei potuto aspettare. E ne sono soddisfatto.
Mi occupo di export e di internazionalizzazione, viaggio molto, ho imparato a leggere il mondo, a capire meglio il prossimo. Oltre al tedesco, ricorderà, mi sono messo di buona lena a studiare l’inglese – in realtà sono un completo autodidatta – poi ho ripreso confidenza con il francese e infine all’università ho aggiunto anche lo spagnolo. Ora, per lavoro, le esercito tutte, quotidianamente.
Devo confessarle che, nonostante la strada intrapresa mi abbia distolto dagli studi umanistici, non ho mai dimenticato la passione per le lettere che lei ci ha trasmesso. Affiancare, anche solo nei pensieri, i versi danteschi, così come lei ce li faceva assaporare, a del buon teatro, come quelle serate alle quali ci si ritrovava con quasi tutta la classe, è un ricordo tutt’altro che sbiadito.
Ammetto che quella energica pacca sulla spalla, un attimo prima di essere interrogato all’esame di maturità, nella sua materia, l’italiano, è stata un gesto evocativo e di incoraggiamento che non ho mai più dimenticato.
Vorrei sapere tanto di lei, ora che potremmo dialogare da vecchi amici, ma so che non è possibile.
Ovunque lei sia ora, le auguro il meglio!