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La metafora del tartufo

Mi mancava. Proprio nella mia regione mi mancava l’esperienza del #tartufo Così, approfittando di un passaggio nell’alto pesarese, non ho potuto resistere alla tentazione di vivere una.

Entriamo presto nel ristorante. Pochi commensali in attesa. Il ristorante è conosciuto, la sua fama lo precede. È tutto gradevolmente lento qui dentro, quella lentezza che è la giusta cornice del piacere conviviale.

Il racconto di ciò che accade, che sta per accadere, in attesa di un buon piatto a base di tartufo, è una parte essenziale del processo di conoscenza e di confidenza con un mondo che sa di preziosità, che emana in qualche modo eleganza.

L’ambiente, la competenza, la cura con cui viene presentato il prodotto sono un acclimatamento necessario prima di entrare in una dimensione multisensoriale speciale, in qualche modo unica.

Il tartufo, il #diamantedellaterra è probabilmente uno dei tuberi più difficili da trovare e raccogliere, la cui nascita è condizionata dalla variabilità delle condizioni meteorologiche, quindi la quantità ne può risentire, non necessariamente la qualità, alta, sempre molto alta.

D’altra parte, come recitava #Ovidio “Senza difficoltà non c’è nulla che abbia valore.”

La cronaca di questi ultimi mesi, racconta la ristoratrice, riporta che il raccolto non è stato ricco. Queste montagne ruvide hanno reso difficile il contatto con la terra, che tuttavia restituisce sempre con la dovuta pazienza questi frutti inestimabili.

Il caldo è stato intenso, la carenza d’acqua un dato di fatto, i tartufi sono buoni, di ottima qualità, ma sono piccoli e la quantità non è all’altezza degli anni passati. L’impatto sul prezzo è una logica conseguenza.

A pensarci bene, persino il tartufo meriterebbe una metafora dedicata, per narrare di qualcosa di prezioso, di raro che viene scoperto o trovato per caso. Il tartufo che cresce sottoterra, scontroso e severo, rappresenta quindi qualcosa di pregevole, inespugnabile talvolta.

L’esperienza di assaporare il tartufo, mangiare starebbe brutto, diventa allora una cronaca significativa ed esaltante.

Timidamente chiedo “Quanto tartufo va sulla pasta?”
“In buone condizioni di raccolta ci andrebbero otto grammi per ogni persona, ma quest’anno suggeriamo di mettere non più di cinque grammi a testa.”

Oro!

Pesiamo allora il tubero che abbiamo scelto, quasi avessimo un lingotto fra le mani. Poi quell’elemento prezioso scompare in cucina, per riapparire dopo un’attesa garbata sotto altre spoglie, ora disteso su una bruschetta perfettamente abbrustolita, poco dopo diffuso su una collina di tagliatelle che si lasciano mangiare senza opporre resistenza, impagabilmente accompagnato da un #vinobianco del territorio, fermo ma non troppo – come suggerirebbero i #winelover – un ottimo #Bianchellodel Metauro

Complimenti per il cibo, per la #miseenplace per i modi, per tutto: un’esperienza di incommensurabile spessore e valore.

“Immagino quanti verranno dall’estero fin qui a godere il posto e il cibo!” dico con un pizzico di marchigiana soddisfazione.

Non è così. “Probabilmente il prossimo anno questo ristorante non ci sarà più o per lo meno sarà ridimensionato. Non ne vale più la pena.”

I turisti, soprattutto quelli internazionali, frequentano sempre meno queste colline e questi monti, questi paesi spettacolari e pieni di storie. Nel corso degli anni i clienti stranieri sono diminuiti, sono sempre meno, stagione dopo stagione. Eppure sono loro, i clienti, quelli che comandano. Non è un luogo comune, comanda chi mangia.

“Bisogna portarceli i turisti qui, non si può aspettare che vengano da soli. È sempre la solita storia, ci sgoliamo a far capire, a comunicare alle nostre istituzioni cosa potrebbero e dovrebbero fare per la promozione, ma non accade nulla, nulla che sia efficace, che porti beneficio a questi territori.”

“Così fra poco chiuderemo, definitivamente. Forse ridurremo le nostre dimensioni, realizzeremo qualcosa di più piccolo, che attragga visitatori soprattutto durante il periodo fieristico.”

Verso la fine di ottobre e i primi di novembre da queste parti c’è la #FieraNazionaledelTartufoBianco
Sarà una buona occasione per ripassare e ripetere l’esperienza.

“Fare la storia dei tartufi sarebbe come intraprendere quella della civilizzazione del mondo, alla quale, per muti che siano, essi hanno preso parte più di quanto lo abbiano fatto le leggi di Minosse, o le tavole di Solone, a tutte le grandi epoche delle nazioni, a tutti i grandi bagliori che gettarono gli imperi. Affluivano a Roma , dalla Grecia e dalla Libia; i Barbari passando su di essi li calpestarono e li fecero scomparire, e da Augustolo fino a Luigi XV essi svaniscono per riapparire soltanto nel XVIII secolo.”

#AlexandreDumas

“Faire l’histoire des truffes serait entreprendre celle de la civilisation du monde, à laquelle, toutes muettes qu’elles sont, elles ont pris plus de part que les lois de Minos, que les tables de Solon à toutes les grandes époques des nations à toutes les grandes lueurs que jetèrent les empires; elles affluaient à Rome, de la Grèce et de la Libye; les Barbares en passant sur elles les foulèrent aux pieds et les firent disparaître, et d’Augustule jusqu’à Louis XV elles s’effacent pour reparaître seulement au XVIIIe siècle.” 

Un cenno di matita

Photo by @ClarissaWatson on @Unsplash

Interno fiera. È appena iniziata. Timidi visitatori si affacciano ai corridoi. Negli stand si attende, come sempre, che arrivi il primo visitatore, nuovo, conosciuto, di passaggio, non importa. Comunque sia che arrivi, perché è il segnale che la fiera è iniziata.

Il piano sequenza è insistente, l’inquadratura ansiosa su chi attende. Ad un tratto l’immagine si stringe. Entra qualcuno. 

Primo piano. Borsa sottobraccio, persona distinta, sguardo professionale, curioso, sembra avere la domanda già pronta. Saluta cordialmente, si presenta: “Bonjour, je suis Mr. T. de la Société R. Comment ça va? Est-ce que Vous êtes Mr. Fausto?” Ci sediamo. Estrae con piglio professorale un foglio bianco dalla borsa – evoca un’immagine vintage – prende una matita e comincia a disegnare. Silenzio.

La grafite scorre sul foglio come a incidere qualcosa che rimarrà. Ne esce un profilo, insolito, di una struttura metallica, qualcosa di robusto, importante.

E continua: “Mr. … Je veux ça!” Come in un racconto di Henrich Böll, il mio interlocutore sembra essere certo che “qualcosa accadrà”!

Percepisco un’accelerazione positiva. In un attimo è come se il calendario scorresse già, con tutte le funzioni coinvolte e mescolate a un flusso di pensieri. 

Devo fare qualcosa subito, prima di subito. Non sarà prima della sera, in albergo, al termine di una giornata speciale. 

“Mettiti seduto, dico al mio capo! (gli posso dare del tu e lo chiamo “capo”.) Stamattina è venuto a trovarmi Mr. T. della Società R. Ha preso carta e matita e ha disegnato questo profilo. Il progetto è importante, urgente, a novembre, nei primi giorni di novembre, i primi lotti devono già essere a Londra. Questo progetto deve essere nostro!”

Silenzio, quel silenzio che non prediligo. Seguono sbuffi, smorfie, qualche cenno di tosse, sguardi complici fra i cortigiani, pardon, i collaboratori più stretti. In molti scuotono la testa. Poi la sentenza: “Nun se po’ fa’!” con l’eco di sostegno dei cortigiani: “Sì, giusto, vero, no, non se po’ fa’!”

Non parlo, non reagisco, forse non respiro nemmeno. Penso: ”Vedremo, se non si può fare!” E replico: “Ma dai, parliamone con calma, domattina. Il Signor T. ripassa, per portarci qualche disegno più dettagliato.”

L’indomani ci rivediamo. Siamo in tre, quattro, non ricordo. Parliamo, traduco, tanti gesti – ahimè, le smorfie ci sono sempre e non si possono tradurre (e sono pericolose)! – ci si scambia qualche parola di italiano. Guardiamo il calendario, con apprensione. Ci si capisce. Finita la fiera, faremo sapere. Maggio sta per finire.

Seguono fitti scambi di corrispondenza, disegni naturalmente, una prima offerta indicativa: non siamo distanti. Ma il tempo, il tempo è proprio quello che manca e scorre inesorabilmente.

La pressione si alza, nel contempo le idee non sono chiare, sembrano annebbiarsi. Ci sono molti attori coinvolti: il cliente, il designer, il capoprogetto, la proprietà, la direzione generale, come sempre accade quando si tratta di vendita industriale. Ciascuno vuol dire la sua, talvolta noncuranti dei tempi e dei processi.

Nascono i primi dubbi sulle scadenze, un barlume di incertezza che sembra far saltare tutto, posticipare persino, perdendo – nell’imminenza di un periodo di ferie – uno spazio  importante per poter lavorare agevolmente, considerando che in un nuovo lavoro l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e ci devono essere i margini di recupero.

Bisogna sbloccare l’empasse, sciogliere i dubbi, 

Sto rientrando da uno di quei colloqui di definizione del progetto, forse l’ultimo – penso – ma non è così! Ad un certo punto penso di dover fare qualcosa, scrivere – per sbloccare la situazione – con cortesia e puntualità, un lungo fax, a mano (come si faceva!), facendo il punto sull’avanzamento del progetto, sui vincoli e sulle scadenze, quelle dei fornitori in particolare, visto che siamo sul limite della pausa estiva. 

La sintesi: se andiamo oltre un certo limite temporale, rischiamo di non riuscire a rispettare le date imposte dal committente e il progetto salta.

Passano pochi, pochissimi giorni, sembrano mesi. La risposta scritta viene preceduta da una telefonata:
“Allez-y!” Procedete!

Comincia il lavoro. I disegni vengono approvati nel giro di pochi giorni. Vengono integrate una serie di simulazioni per validare la tenuta del profilo, il calcolo della resistenza e della flessione della struttura metallica deve essere accurato. Il risultato promuove il progetto. Un altro passo avanti.

Si procede alla realizzazione della sezione di un campione, in dimensioni reali, un’opera che seguirò in ogni passaggio, ogni giorno, ossessivamente. Quel filo dell’elettroerosione che scorre 24h nella billetta di alluminio diventa l’occasione quotidiana per confrontarmi con chi produce: un vero training on the job! 

Anche questo fa parte del percorso di internazionalizzazione. 

Ogni mattina di quei lunghi giorni a verificare che la notte fosse passata bene e che non ci fossero state interruzioni del lavoro.

Il campione viene approvato. Si faranno test anche sulla finitura, una nuova, speciale per questo progetto. Anche la finitura verrà approvata.

Intanto parte la pianificazione, un’occasione inderogabile per applicare logiche di project management. Riunioni su riunioni, volate in produzione e poi solleciti dietro solleciti. 

Quando arriva il giorno della prima spedizione siamo un po’ tutti emozionati. Passerà qualche giorno in attesa ansiosa del feedback, che infine arriverà. 

Ci siamo riusciti! Il Cliente rimane soddisfatto, di tutto, del prodotto finale e della macchina organizzativa messa in piedi in soli centoventi giorni!

Forse fu un miracolo, senza averne piena coscienza, superando difficoltà che sembravano insormontabili, abbattendo resistenze e pregiudizi, interni ed esterni.

Così è la realizzazione di un progetto B2B: ascoltare, co-progettare e contribuire perché il prodotto sia come doveva essere, performante secondo le specifiche, consegnato come si aspetta il Cliente, ad un prezzo soddisfacente per entrambi i partner coinvolti, perché “creare una relazione di lungo termine” è il fondamento della vendita.

Centrale il rapporto con il Cliente, più esattamente la relazione fra Partner, fondata sul privilegio di scambiare conoscenze e competenze, al tempo stesso cooperativa e proattiva.

In questa maniera prende forma un nuovo progetto, si trova la soluzione più efficace e significativa per un nuovo prodotto, nel pieno rispetto del marchio e dell’identità dell’Azienda.

È stata una grande storia – accadeva venti anni fa – in cui il contributo 100/100 in ogni area, a tutti i livelli, è stato determinante, vincente!

“Un oggetto di design è il frutto dello sforzo comune di molte persone dalle diverse specifiche competenze tecniche, industriali, commerciali, estetiche. Il lavoro del designer è la sintesi espressiva di questo lavoro collettivo. Quello che caratterizza la progettazione è proprio il rapporto continuo tra parecchi operatori, dall’ imprenditore all’ultimo operaio.” #AchilleCastiglioni

#B2B #export #exportmanagement #percorsi #esperienze #lessonslearned